Il mal di schiena: linee guida, terapie e punti critici nella gestione della lombalgia

Immagine che illustra un uomo che si tocca la schiena dolorante, con la colonna vertebrale che si vede in trasparenza

Scopri cosa dicono le più recenti linee guida internazionali su come affrontare il mal di schiena acuto, subacuto e cronico. Dall’esercizio ai farmaci, fino agli approcci psicologici: cosa funziona davvero e dove la scienza non ha ancora risposte definitive.

La lombalgia non specifica — il dolore nella parte bassa della schiena che colpisce senza una causa precisa come ernie o fratture — è oggi la prima causa di disabilità nel mondo. Colpisce circa una persona su cinque e comporta costi enormi in termini di cure, giornate lavorative perse e qualità di vita ridotta.

Questi dati spiegano perché la comunità scientifica internazionale si sia mobilitata per trovare strategie in grado di uniformare e ottimizzare la gestione clinica di questo problema così diffuso. Solo negli ultimi sei anni, 15 Paesi hanno prodotto 22 linee guida cliniche per standardizzare il trattamento del mal di schiena nelle sue diverse fasi: 

  • Acuta (meno di 4-6 settimane)
  • Subacuta (fino a 12 settimane)
  • Cronica (oltre 12 settimane)

Questo articolo esplora le raccomandazioni basate sulle prove scientifiche più solide, aiutandoti a orientarti tra le varie opzioni terapeutiche e a comprendere anche le aree in cui la scienza non ha ancora dato risposte definitive.

Una delle conclusioni più importanti delle linee guida internazionali è che il trattamento del mal di schiena deve essere principalmente attivo piuttosto che passivo. Ma cosa significa esattamente?

Terapie attive vs Terapie passive

Le terapie attive sono quelle in cui i pazienti sono protagonisti: esercizio fisico, mantenimento del movimento nelle attività quotidiane, strategie di autogestione per riconoscere e controllare il dolore, educazione terapeutica e, quando necessario, terapia cognitivo-comportamentale.

Le terapie passive, invece, sono quelle che i pazienti “ricevono” senza partecipare attivamente: farmaci, massaggi, manipolazioni, elettrostimolazione, laser, applicazioni di calore, o il classico riposo a letto.

Quali terapie funzionano meglio per il mal di schiena?

Immagine che illustra la struttura di una colonna vertebrale

Il motivo per cui le terapie attive dovrebbero essere al centro del trattamento è semplice: funzionano meglio e più a lungo. L’esercizio nella lombalgia cronica riduce il dolore di circa 15 punti su 100 e aumenta la fiducia nella capacità di gestire il problema, con benefici che si mantengono nel tempo.

Le terapie passive, invece, offrono generalmente sollievi più modesti e temporanei: il calore aiuta nell’immediato, i farmaci antinfiammatori danno benefici limitati, le manipolazioni producono risultati paragonabili all’esercizio ma non superiori.

Questo non significa che farmaci e terapie passive siano inutili o da evitare completamente. Hanno un ruolo secondario ma importante: vanno usati a breve termine per gestire le fasi acute più dolorose, non devono mai essere l’unico approccio, e vanno sempre affiancati a strategie attive.

Quando, in passato, il riposo a letto era la prima raccomandazione, si rallentava inconsapevolmente il recupero e si favoriva la cronicizzazione. Oggi sappiamo che il movimento è terapeutico in sé, e che imparare a gestire attivamente il proprio dolore è la migliore prevenzione contro la disabilità a lungo termine.

Farmaci antinfiammatori: utili nel mal di schiena, ma con limiti

Quando il mal di schiena è appena iniziato, molti ricorrono agli antinfiammatori non steroidei (i cosiddetti FANS, come ibuprofene o ketoprofene). La scienza ci dice che questi farmaci offrono un sollievo reale, ma più modesto di quanto si potrebbe pensare.

Le ricerche mostrano che solo 1 paziente su 6 trae un beneficio significativo dai FANS rispetto al placebo. La riduzione del dolore esiste ed è statisticamente significativa, ma nella pratica clinica risulta spesso piccola. In pratica: il paziente sente un po’ meno dolore, ma spesso non abbastanza da cambiare significativamente la sua capacità di muoversi, lavorare o dormire.

Allora perché i FANS rimangono farmaci di prima linea?

Intanto perchè non esistono alternative farmacologiche migliori (il paracetamolo si è rivelato inefficace, gli oppioidi hanno troppi rischi); inoltre alcuni pazienti rispondono comunque bene (anche se non sappiamo prevedere quali); in aggiunta, hanno un profilo di sicurezza accettabile a breve termine; e infine possono facilitare l’attività fisica riducendo il dolore quel tanto che basta per continuare a muoversi.

Il paracetamolo nel mal di schiena

Il caso del paracetamolo merita un approfondimento. Prima del 2014 era considerato il farmaco di prima scelta per la lombalgia, ritenuto più sicuro dei FANS. Uno studio australiano pubblicato su The Lancet nel 2014 e successive revisioni sistematiche hanno però dimostrato che il paracetamolo non è più efficace del placebo: non riduce significativamente né il dolore, né la disabilità, né accelera il recupero. Per questo la maggior parte delle linee guida internazionali pubblicate dopo il 2015 non lo raccomanda più per il mal di schiena. Questo ha “promosso” i FANS a prima scelta, non perché siano particolarmente efficaci, ma perché l’alternativa si è rivelata inefficace.

Nella pratica

iRiassumendo, i FANS possono aiutare nelle prime settimane, ma senza aspettarsi miracoli. Vanno usati a breve termine (pochi giorni) alla dose minima efficace, non bisogna affidarsi solo ai farmaci perché mantenersi attivi è più importante. Infine, il paracetamolo va evitato per il mal di schiena perché le evidenze non ne supportano l’uso.

Guida pratica all’uso degli antinfiammatori

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Muoversi è meglio che riposare: esercizio terapeutico e mantenimento dell’attività

Due strategie diverse ma complementari guidano il trattamento attivo: il mantenimento dell’attività quotidiana e l’esercizio terapeutico strutturato.

L’importanza di mantenersi attivi

Mantenersi attivi significa evitare il riposo prolungato a letto e continuare le normali attività quotidiane, compatibilmente con il dolore che si prova: lavoro, faccende domestiche, camminate, vita sociale.

Chi si mantiene attivo recupera più velocemente, mentre il riposo eccessivo porta a perdita di forza muscolare, rigidità e aumenta il rischio che il dolore diventi cronico. L’equilibrio giusto sta nell’ascoltare il corpo senza lasciare che la paura blocchi il movimento. Nel mal di schiena non specifico, un certo livello di dolore durante l’attività non significa necessariamente danno.

L’esercizio terapeutico contro il mal di schiena

L’esercizio terapeutico strutturato è il passo successivo: sono programmi specifici prescritti da professionisti con, ad esempio, esercizi mirati di rinforzo del core (addominali profondi, muscolatura dorsale, ecc.), stabilizzazione lombare, stretching e mobilizzazione della colonna, con progressioni graduali di carico. Diventa particolarmente importante nella fase subacuta (4-12 settimane) e cronica (oltre 12 settimane), quando il dolore non si risolve spontaneamente.

Gli studi dimostrano riduzioni del dolore clinicamente significative (15,2 punti su scala 0-100) e un aumento dell’autoefficacia, cioè la fiducia nella propria capacità di gestire il problema. Questo fattore psicologico ha conseguenze concrete: chi ha maggiore autoefficacia fa più esercizio, affronta meglio le ricadute e ottiene risultati migliori nel tempo.

Quale esercizio scegliere? La ricerca mostra che rinforzo, stretching, Pilates, yoga ed esercizi in acqua hanno benefici comparabili. L’importante è la regolarità e trovare un’attività che vi piaccia: l’aderenza nel tempo conta più del tipo specifico di esercizio.

Le mani del terapista: manipolazioni e mobilizzazioni per il mal di schiena

Quali sono le tecniche manuali?

Le tecniche manuali, praticate da fisioterapisti, chiropratici e osteopati, sono molto popolari e spesso oggetto di fortissime aspettative.

  • La manipolazione spinale (SMT – Spinal Manipulation Therapy): è il movimento rapido e controllato applicato a un’articolazione della colonna vertebrale, spesso accompagnato dal caratteristico “clack”. È la tecnica classica della chiropratica, ma viene praticata anche da fisioterapisti e osteopati
  • La mobilizzazione spinale: movimenti più lenti e graduali applicati alle articolazioni. in maniera più dolce e controllata
  • Il massaggio dei tessuti molli: è il lavoro su muscoli, fasce e altri tessuti attorno alla colonna,

Producono benefici comparabili a quelli dell’esercizio fisico, senza tuttavia risultarne generalmente superiori.

Tecniche “mirate” vs “non mirate” nel trattamento della lombalgia

La ricerca non ha trovato differenze significative tra tecniche “mirate” a livelli vertebrali specifici (il terapista valuta quale vertebra specifica è “bloccata” o “disfunzionale”, p.es. L4-L5, e applica la tecnica precisamente a quel livello) ed approcci più generici (si applica una tecnica manuale alla regione lombare senza mirare a un livello vertebrale specifico).

Molti professionisti basano la loro pratica sull’idea di identificare e correggere “sublussazioni”, “blocchi vertebrali” o “disfunzioni segmentarie” specifiche. Se, come detto, approcci mirati e non mirati funzionano ugualmente, i benefici probabilmente NON derivano dalla “correzione” di una specifica vertebra.

I possibili meccanismi d’azione

I meccanismi d’azione sono perciò, probabilmente più generali:

  • Effetti neurofisiologici: La stimolazione meccanica può attivare meccanismi di controllo del dolore nel sistema nervoso centrale (teoria del gate control).
  • Riduzione dello spasmo muscolare: Il rilassamento della muscolatura paravertebrale contratta.
  • Effetti psicologici: Il contatto terapeutico, l’attenzione ricevuta, l’aspettativa di miglioramento (effetto placebo potenziato).
  • Miglioramento temporaneo della mobilità: Che può facilitare il ritorno all’attività.
Immagine che illustra un paziente che riceve un massaggio terapeutico per il mal di schiena

Probabilmente si tratta di una combinazione di tutti questi fattori, e le valutazioni “millimetriche” di quale vertebra trattare potrebbero essere meno rilevanti di quanto si pensasse.

Queste tecniche rappresentano opzioni valide come terapia passiva di supporto nella fase acuta, per facilitare il ritorno al movimento, o come complemento a un programma di esercizi, soprattutto per pazienti che trovano conforto nel contatto terapeutico.

Non sono però la soluzione miracolosa che talvolta viene promessa: i benefici tendono ad essere temporanei e richiedono spesso trattamenti ripetuti. Idealmente, andrebberoutilizzate come ponte per aiutare pazienti molto doloranti ad iniziare l’esercizio, non come sostituto dell’autogestione attiva.

Caldo o freddo: cosa funziona nel mal di schiena?

Il caldo

L’applicazione di calore superficiale (come coperte termiche o cerotti riscaldanti) offre riduzioni modeste e temporanee del dolore, specialmente nel breve periodo. Gli studi mostrano riduzioni del dolore di circa 1 punto su una scala da 0 a 5 dopo 5 giorni di utilizzo in pazienti acuti e subacuti.

Come funziona il calore?

Il calore funziona attraverso diversi meccanismi:

Effetti fisiologici diretti:
  • Vasodilatazione locale: Aumenta il flusso sanguigno nella zona, portando più ossigeno e nutrienti
  • Riduzione dello spasmo muscolare: Il calore rilassa la muscolatura contratta
  • Aumento dell’estensibilità dei tessuti: Rende muscoli e fasce più “elastici”
  • Riduzione della rigidità: Specialmente al mattino o dopo periodi di immobilità
Effetti sul dolore:
  • Gate control theory: La stimolazione termica può “chiudere il cancello” ai segnali dolorosi nel midollo spinale
  • Effetto analgesico locale: Riduce la sensibilità delle terminazioni nervose
  • Comfort psicologico: La sensazione piacevole del calore ha effetti rilassanti

Tuttavia, i benefici durano solo durante e poco dopo l’applicazione, senza modificare la storia naturale del mal di schiena. Inoltre, nonostante la credenza popolare, il calore non ha effetti antinfiammatori (anzi, teoricamente potrebbe aumentare l’infiammazione nelle prime 48-72 ore da un trauma acuto).

L’abbinamento calore + movimento

L’effetto viene potenziato se si abbina il calore all’esercizio fisico: applicare calore per 15-20 minuti prima dell’esercizio prepara i muscoli, riduce il dolore iniziale e facilita i movimenti. Il calore dà sollievo immediato, l’esercizio costruisce benefici duraturi: è una sinergia efficace.

Il freddo

Il freddo presenta un quadro del tutto diverso: nonostante sia molto usato in medicina sportiva per traumi acuti, per la lombalgia non ha ancora dimostrato benefici costanti.

Gli studi sono pochi, di bassa qualità e con risultati inconsistenti. Il problema è che la lombalgia non specifica non è un trauma acuto con danno tissutale evidente, quindi i meccanismi che funzionano nello sport potrebbero non applicarsi.

La TENS è efficace nel trattamento del mal di schiena?

La TENS (stimolazione elettrica nervosa transcutanea), è un dispositivo che applica piccole correnti elettriche attraverso elettrodi applicati sulla pelle. Non invasivo, relativamente economico (i dispositivi domestici costano 30-100€), facile da usare autonomamente e senza effetti collaterali significativi, questo apparecchio è molto popolare in fisioterapia.

Come dovrebbe funzionare (in teoria)?

1. Teoria del Gate Control (cancello del dolore)

La teoria più accreditata è quella del “gate control” proposta da Melzack e Wall negli anni ’60:

  • I segnali dolorosi viaggiano attraverso fibre nervose lente (fibre C)
  • La TENS stimola fibre nervose veloci (fibre A-beta)
  • Queste fibre veloci “chiudono il cancello” nel midollo spinale, bloccando parzialmente i segnali dolorosi
  • È come quando vi sfregate una parte dolente: lo sfregamento crea una stimolazione che compete con il dolore
2. Rilascio di endorfine

A frequenze basse, la TENS potrebbe stimolare il rilascio di endorfine (oppioidi endogeni), i “morfina naturale” del corpo.

3. Riduzione dello spasmo muscolare

La stimolazione elettrica può indurre contrazioni muscolari ritmiche che riducono la tensione e migliorano la circolazione locale.

L’uso della TENS nella pratica clinica

Nonostante la maggior parte degli studi scientifici evidenzino prove poco consistenti degli effetti sul dolore della TENS, nella pratica clinica questa metodica rimane ampiamente prescritta, generalmente apprezzata dai pazienti, considerata sicura ed economica ed entra a far parte di molti protocolli fisioterapici.

Alcuni pazienti ne traggono beneficio, e anche se non dovrebbe essere l’intervento principale, può essere proposta come terapia complementare a basso rischio.

La laserterapia nella lombalgia

La laserterapia, in particolare nella sua forma ad alta intensità (HILT), rappresenta una delle tecnologie più promettenti nel trattamento del dolore lombare

Il laser a bassa intensità (LLLT) offre sollievo temporaneo dal dolore ma senza effetti significativi sulla funzionalità, mentre il laser ad alta intensità (HILT) mostra risultati più promettenti con alcuni studi che mostrano riduzioni del dolore e miglioramenti della flessibilità.

Il principio su cui si basa questa metodica è la capacità della luce laser di penetrare nei tessuti profondi, dove eserciterebbe effetti fotobiomodulatori capaci di influenzare i processi cellulari alla base dell’infiammazione e del dolore.

Meccanismi d’azione proposti

La laserterapia agirebbe attraverso molteplici meccanismi biologici interconnessi.

A livello cellulare, l’energia luminosa verrebbe assorbita a livello dei mitocondri (le centrali energetiche della cellula) e ciò stimolerebbe la produzione di ATP, la molecola energetica fondamentale per tutti i processi cellulari, migliorando il metabolismo tissutale e accelerando i processi riparativi.

Parallelamente, la laserterapia influenzerebbe la cascata infiammatoria locale, modulando la produzione di citochine pro-infiammatorie e favorendo invece il rilascio di mediatori anti-infiammatori. Questo riequilibrio dell’ambiente biochimico tissutale contribuirebbe alla riduzione del dolore e alla normalizzazione della risposta infiammatoria, spesso eccessiva e protratta nelle condizioni di lombalgia cronica.

Un altro meccanismo proposto riguarda l’effetto analgesico diretto, che si realizzerebbe attraverso l’azione modulatoria sulle fibre nervose che trasmettono gli impulsi dolorifici al sistema nervoso centrale.

Le evidenze cliniche

Gli studi clinici condotti sulla laserterapia nel trattamento della lombalgia hanno prodotto risultati contrastanti.

Diverse ricerche hanno documentato riduzioni statisticamente significative del dolore, e, parallelamente, miglioramenti nella flessibilità della colonna lombare, che si traducono spesso in un incremento della capacità funzionale dei pazienti, con ripercussioni positive sulle attività della vita quotidiana e sulla qualità di vita complessiva.

Alcuni studi hanno anche documentato una riduzione dell’uso di farmaci analgesici da parte dei pazienti sottoposti a laserterapia, un aspetto particolarmente significativo, considerando i potenziali effetti collaterali associati all’uso prolungato di analgesici, soprattutto i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).

Tuttaviale metodiche ed i protocolli dei diversi studi sono ancora troppo eterogenei per trarre conclusioni definitive. Servirebbe più ricerca standardizzata.

Il massaggio terapeutico per il mal di schiena

l massaggio terapeutico, pur essendo ampiamente utilizzato nella pratica clinica e generalmente ben accettato dai pazienti, tuttavia poggia su una base di evidenze scientifiche sorprendentemente fragile.

Le revisioni sistematiche della letteratura classificano costantemente gli studi sul massaggio come di bassa qualità metodologica, con risultati poco affidabili.

Il massaggio sembrerebbe produrre effetti analgesici di entità simile ad altre terapie manuali, probabilmente attraverso meccanismi che includono la modulazione del sistema nervoso autonomo, il rilascio di endorfine e la riduzione della tensione muscolare. Tuttavia, questi effetti appaiono prevalentemente di breve durata e non dimostrano vantaggi clinici significativi rispetto ad approcci alternativi o placebo quando valutati con metodologie rigorose.

La mancanza di protocolli standardizzati rappresenta un ostacolo fondamentale: il termine “massaggio” racchiude tecniche estremamente diverse (svedese, dei tessuti profondi, miofasciale, trigger point) con intensità, durata e modalità di applicazione variabili, rendendo impossibile confrontare gli studi e identificare quali componenti specifiche possano essere realmente efficaci. Anche in questo caso sarebbero necessari ulteriori studi controllati con protocolli standardizzati.


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Quando il mal di schiena persiste oltre le 12 settimane, la situazione si complica. Il dolore cronico non è semplicemente un dolore acuto che dura più a lungo: coinvolge meccanismi neurobiologici diversi e si intreccia profondamente con fattori psicologici e sociali.

La terapia cognitivo-comportamentale della lombalgia cronica

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) ha dimostrato di ridurre dolore, disabilità e paure legate al movimento, migliorando la fiducia nella propria capacità di gestire il problema. Gli studi mostrano un effetto medio-moderato che si mantiene a 6-12 mesi dal trattamento, cosa che non avviene con molte terapie passive dai benefici solo temporanei.

Ma come funziona esattamente la terapia cognitivo-comportamentale ?

La CBT non “cura” direttamente la schiena, ma lavora su come la mente elabora e risponde al dolore attraverso meccanismi specifici:

  • Spezza il circolo vizioso della paura del movimento: Molte persone con lombalgia cronica sviluppano la cosiddetta “kinesiofobia” – la paura di muoversi. Il ragionamento diventa: “Se mi muovo mi farà male, quindi evito di muovermi, ma così i muscoli si indeboliscono e quando mi muovo fa ancora più male”. La CBT aiuta a riconoscere questo schema e introduce gradualmente il movimento in modo controllato e sicuro.
  • Modifica i pensieri catastrofici: Pensieri come “Non guarirò mai” o “Il mio mal di schiena peggiorerà sempre” sono comuni e peggiorano realmente la percezione del dolore. La CBT insegna a riconoscere questi pensieri automatici negativi e a sostituirli con valutazioni più realistiche.
  • Lavora sui comportamenti di evitamento: Il dolore cronico porta spesso a evitare sempre più attività sociali, lavorative e ricreative. Questo isolamento aumenta depressione e ansia, che a loro volta amplificano la percezione del dolore. La CBT aiuta a riprendere gradualmente le attività significative.
  • Aumenta l’autoefficacia: Uno degli effetti più importanti è l’aumento della fiducia nella propria capacità di gestire il problema, che si traduce in maggiore aderenza all’esercizio fisico, migliore gestione delle ricadute e riduzione dell’uso di farmaci.

Il dolore non è immaginario!

Quando si parla di approcci psicologici al dolore, molti pazienti temono che il medico non creda al loro dolore o lo consideri “immaginario”, che sia solo nella testa del paziente.

Non è così! Il dolore che il paziente prova è reale al 100%, non è inventato o esagerato.

Tuttavia il cervello modula la percezione del dolore attraverso meccanismi neurobiologici complessi. Nel dolore cronico, il sistema nervoso diventa ipersensibile (sensibilizzazione centrale), e stress, ansia e paura amplificano i segnali dolorosi. La CBT aiuta a “ricalibrare” questo sistema, lavorando su aspetti psicologici che hanno concrete conseguenze fisiche.

La riabilitazione multidisciplinare nel trattamento del mal di schiena

I programmi di riabilitazione intensivi e multidisciplinari, che combinano fisioterapia, supporto psicologico, educazione e componenti occupazionali, ottengono i migliori risultati nel lungo termine. Gli studi mostrano miglioramenti clinicamente significativi sul dolore (circa 20 punti su una scala da 0 a 100) e sulla funzionalità, superando nettamente i risultati di approcci meno strutturati.

Questi programmi costano di più e richiedono più tempo, ma rappresentano l’investimento più efficace quando il dolore è diventato cronico e invalidante.

Agopuntura: benefici moderati

Immagine che illustra una donna cinese che pratica l'arte dell'agopuntura

Gli studi mostrano che l’agopuntura ha un effetto superiore al placebo (l’agopuntura “finta”) nel ridurre il dolore, con un miglioramento relativo del 12% rispetto ai farmaci orali. In termini pratici: se 100 persone prendono farmaci orali e 60 di loro migliorano, con l’agopuntura ne migliorerebbero circa 67. È un beneficio statisticamente significativo ma piccolo sul piano clinico.

Il problema principale riguarda la qualità metodologica degli studi: l’agopuntura sembra funzionare, ma gli studi che lo dimostrano non sono abbastanza solidi da convincere tutti gli esperti.

Un altro limite importante è che l’agopuntura offre un sollievo immediato dal dolore (subito dopo o nei giorni successivi al trattamento), ma l’effetto sulla funzionalità (cioè sulla capacità di svolgere le attività quotidiane) è molto più contenuto. Non è chiaro quanto durino questi benefici nel tempo, né se aiutino davvero i pazienti a tornare alle loro attività normali. Ridurre il dolore di qualche punto sulla scala non basta se la persona continua a non poter lavorare o fare sport.

Proprio per questi motivi, le linee guida internazionali sono in disaccordo sull’agopuntura. Alcune (come quelle americane VA/DoD e AOPT) la includono tra le opzioni, considerando che alcuni pazienti potrebbero trarne beneficio, che ha pochi effetti collaterali e rispetta le preferenze culturali di chi la richiede. Altre linee guida la omettono o la sconsigliano, ritenendo il beneficio clinico troppo marginale per giustificarne la raccomandazione, soprattutto considerando il rapporto costo-beneficio e la necessità di concentrare le risorse su interventi con evidenze più solide.

Farmaci di seconda linea per il mal di schiena: da usare con cautela

Gli oppioidi

Nel dolore cronico, gli oppioidi (farmaci derivati dalla morfina) forniscono riduzioni del dolore proporzionali al dosaggio, ma raramente superano la soglia di importanza clinica. In altre parole, gli oppioidi “funzionano” dal punto di vista statistico, ma il sollievo che offrono è spesso troppo modesto per giustificarne l’uso, soprattutto considerando i rischi significativi di eventi avversi, dipendenza e abuso. Per questo le linee guida ne raccomandano un uso estremamente circoscritto ai casi più gravi.

Gli antidepressivi

L’uso degli antidepressivi come la duloxetina per il mal di schiena può sembrare una scelta strana, ma ha una solida base scientifica. Questi farmaci, in particolare quelli della classe SNRI (inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina), hanno un effetto analgesico che funziona indipendentemente dal loro effetto sull’umore. Agiscono sulle vie discendenti del dolore nel sistema nervoso centrale, modulando la trasmissione dei segnali dolorosi a livello neurochimico. Perciò, se il medico propone un antidepressivo per il mal di schiena, non sta suggerendo che il vostro dolore sia “nella vostra testa” o che siate depressi. È semplicemente un farmaco che, attraverso i suoi meccanismi d’azione sul sistema nervoso, ha dimostrato proprietà analgesiche in studi controllati.

Tuttavia, i benefici rimangono modesti e comparabili a quelli dei FANS. Per questo motivo, gli antidepressivi vengono riservati a situazioni specifiche:

  • pazienti che presentano anche una componente di dolore neuropatico (formicolii, bruciori, sensazioni di scosse elettriche),
  • chi soffre effettivamente di depressione o ansia in comorbidità con il dolore cronico (ottenendo così un doppio beneficio),
  • pazienti con disturbi del sonno legati al dolore,
  • come opzione di seconda linea quando altri trattamenti non hanno dato risultati soddisfacenti.

Gli effetti collaterali non sono trascurabili e includono nausea, sonnolenza o insonnia, secchezza delle fauci, possibili problemi sessuali, e il rischio di sindrome da sospensione se il farmaco viene interrotto bruscamente. Questo rende il rapporto rischio-beneficio favorevole solo in sottogruppi selezionati di pazienti.

I miorilassanti

I miorilassanti (come ciclobenzaprina, baclofene, tizanidina) sono farmaci che riducono la tensione e lo spasmo muscolare. Il razionale del loro uso parte dal presupposto che parte del dolore lombare derivi da contratture muscolari involontarie che perpetuano il dolore.

Anche per questi farmaci, però, le evidenze mostrano benefici modesti, a breve termine e non superiori ad altre opzioni terapeutiche. Gli effetti collaterali sono significativi e includono forte sonnolenza, vertigini, possibile interferenza con attività come la guida, e in alcuni casi rischio di dipendenza.

Per questi motivi, i miorilassanti vengono riservati tipicamente alla fase acuta, quando c’è evidenza di spasmo muscolare importante, e per periodi limitati. Non rappresentano una soluzione per il dolore cronico e il loro uso prolungato non è supportato dalle evidenze scientifiche.

Yoga e Pilates: potenziale da confermare

Gli esercizi mente-corpo come yoga e Pilates mostrano potenziale nella gestione della lombalgia cronica, ma con evidenze ancora di bassa certezza che richiedono ulteriori conferme attraverso studi più rigorosi.

Alla luce di quanto esaminato, ecco le indicazioni pratiche più efficaci:

Privilegiate il movimento: Dall’inizio, cercate di mantenervi attivi nei limiti del tollerabile e considerate programmi di esercizio strutturati, soprattutto se il dolore si prolunga.

Non puntate tutto sui farmaci: I FANS possono aiutare nelle prime settimane, ma i benefici sono limitati. Usateli a breve termine, al dosaggio più basso efficace e sempre sotto controllo medico. Evitate il paracetamolo per il mal di schiena (le evidenze ne smentiscono l’efficacia) e state molto attenti agli oppioidi nel dolore cronico.

Se il dolore diventa cronico, allargate la prospettiva: Non concentratevi solo sul dolore fisico. La terapia cognitivo-comportamentale e i programmi multidisciplinari offrono i risultati migliori nel lungo termine.

Personalizzate il percorso: Non esiste una soluzione uguale per tutti. Tenete conto delle vostre preferenze, del vostro contesto di vita e delle risorse disponibili. Discutetene apertamente con i professionisti sanitari.

Siate realistici sulle aspettative: Molti trattamenti offrono benefici modesti. L’obiettivo non è sempre eliminare completamente il dolore, ma imparare a gestirlo e mantenere una buona qualità di vita.

La ricerca scientifica ha fatto passi avanti importanti nella comprensione e gestione del mal di schiena, portandoci verso un approccio più attivo, biopsicosociale e centrato sulla persona. Non esistono soluzioni miracolose, ma una combinazione intelligente di movimento, gestione attiva, supporto psicologico quando necessario e uso parsimonioso dei farmaci rappresenta la strada più efficace e sicura.

Il messaggio più importante è che i pazienti non sono passivi riceventi di cure, ma protagonisti attivi del proprio percorso di recupero. La scienza conferma che questa è non solo la filosofia più giusta, ma anche l’approccio più efficace.

Quadro generale ed evidenze

Rizzo, R. R., Cashin, A. G., Wand, B. M., Ferraro, M. C., Sharma, S., Lee, H., O’Hagan, E., Maher, C. G., Furlan, A. D., van Tulder, M. W., & McAuley, J. H. (2025). Non-pharmacological and non-surgical treatments for low back pain in adults: an overview of Cochrane reviews. The Cochrane database of systematic reviews3(3), CD014691. https://doi.org/10.1002/14651858.CD014691.pub2

Trattamenti per la Fase Cronica (cLBP)

Mauck, M. C., Aylward, A. F., Barton, C. E., Birckhead, B., Carey, T., Dalton, D. M., Fields, A. J., Fritz, J., Hassett, A. L., Hoffmeyer, A., Jones, S. B., McLean, S. A., Mehling, W. E., O’Neill, C. W., Schneider, M. J., Williams, D. A., Zheng, P., & Wasan, A. D. (2022). Evidence-based interventions to treat chronic low back pain: treatment selection for a personalized medicine approach. Pain reports7(5), e1019. https://doi.org/10.1097/PR9.0000000000001019

Farmaci (FANS, Oppioidi, Miorilassanti)

Jiang, J., Pan, H., Chen, H., Song, L., Wang, Y., Qian, B., Chen, P., Fan, S., & Lin, X. (2022). Comparative Efficacy of Pharmacological Therapies for Low Back Pain: A Bayesian Network Analysis. Frontiers in pharmacology13, 811962. https://doi.org/10.3389/fphar.2022.811962

Fisioterapia nel controllo del dolore

Frasuńska, J., Stypińska, B., & Tarnacka, B. (2025). Physiotherapy management strategies for chronic pain control in patients with lumbosacral transitional vertebrae and low back pain: a review of the literature. Reumatologia63(4), 251–265. https://doi.org/10.5114/reum/202295

Terapie psicologiche

Rosser, B. A., Fisher, E., Janjua, S., Eccleston, C., Keogh, E., & Duggan, G. (2023). Psychological therapies delivered remotely for the management of chronic pain (excluding headache) in adults. The Cochrane database of systematic reviews8(8), CD013863. https://doi.org/10.1002/14651858.CD013863.pub2

Approccio Attivo & Partecipazione del Paziente

Fu, Y., McNichol, E., Marczewski, K., & Closs, S. J. (2016). Patient-professional partnerships and chronic back pain self-management: a qualitative systematic review and synthesis. Health & social care in the community24(3), 247–259. https://doi.org/10.1111/hsc.12223


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